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giovedì 26 gennaio 2012

Il maestro e il discepolo: Eliade visto da Culianu

Ioan Petru Culianu, Mircea Eliade, Settimo Sigillo, Roma 2008, pp. 192, trad. e cura di Marcello De Martino.


L’editrice Settimo Sigillo di Roma ha, nel 2008, dato alle stampe un’interessante monografia. Si tratta del volume di I. P. Culianu, Mircea Eliade, già parzialmente pubblicato trent’anni fa per i tipi di una casa editrice cattolica. Diciamo parzialmente in quanto, da quella prima edizione, all’ultimo momento, per volontà dello stesso autore, era stato espunto il capitolo in cui venivano affrontati i rapporti del grande storico delle religioni romeno con il movimento della Guardia di Ferro di Codreanu. Pertanto, questa recentissima pubblicazione, presenta al pubblico italiano l’iniziale lavoro di Culianu, proponendosi come strumento irrinunciabile per chi, finalmente, voglia formarsi un’idea chiara in merito, non solo all’opera, ma anche alla vita di Eliade. La tragica e prematura fine, cui il giovane Culianu andò incontro, per mano di ignoti assassini all’Università di Chicago, nel 1991, pareva aver fatto calare sulle sue produzioni, almeno da noi, un silenzio immeritato. Infatti, il curatore del volume, Marcello De Martino, che vanta parecchie esperienze di docenza in Università straniere e che, a partire dal prossimo anno accademico, terrà la cattedra di Filologia latina presso la prestigiosa Università di Harvard, nonché, da lungo tempo, accorto esegeta di Eliade, sottolinea, nella prefazione, l’importanza di queste pagine stimolanti, in quanto invitano il lettore a spunti di riflessione in grado di condurlo nelle problematiche più vive e dibattute del pensiero storico-religioso contemporaneo. Culianu, nel momento in cui scrisse quest’opera, aveva un rapporto di intensa frequentazione con il Maestro, ma al contempo stava completando, presso la Cattolica di Milano, il suo iter formativo, sotto la sagace guida di Ugo Bianchi. Questi non era certo, come Eliade, un fenomenologo puro, infatti il metodo che aveva adottato, quello storico-comparativo, lo teneva, almeno per certi aspetti, lontano da talune conclusioni eliadiane. Ciò ha contribuito non poco al pregio di questo libro che, pur nel rispetto dell’opera dell’indiscusso Maestro, non si riduce mai ai canoni consueti della mera agiografia, mantenendo sempre, nei confronti dell’oggetto indagato, tanto il dovuto distacco critico-scientifico, quanto la altrettanto necessaria passione che lo anima dall’interno. Merito da ascrivere a Culianu, sotto il profilo ermeneutico, è senz’altro quello di aver colto la centralità dei romanzi giovanili eliadiani. Essi testimoniano, non soltanto di un periodo formativo straordinario durante gli anni della sua permanenza in India, ma anche delle relazioni e della prossimità che lo storico delle religioni maturò nei confronti della philosophia perennis e, più in generale, della gnosi realizzativa. Da questo punto di vista, risultarono essenziali i rapporti intercorsi tra Eliade e Dasgupta prima, e successivamente l’incontro con Swami Shivananda, mirabilmente resi, dal punto di vista letterario, in Notti a Serampore e ne Il segreto del dottor Honigberger. In forza di tali esperienze, rileva Culianu, Eliade sviluppò la sua lettura dell’alchimia come scienza autonoma e non come una pre-chimica. L’alchimista, come del resto lo yogin, è alla ricerca dell’elisir della vita, cioè di quella dimensione immortalante, meta ultima di tutte le tecniche soteriologiche. Queste tendono a ridurre delle operazioni fisiche ed esterne a operazioni condotte sub specie interioritatis. La necessità di trascendere il dato della mera corporeità, o quanto meno di  controllarlo, apprendiamo dalla lettura delle pagine riguardanti la giovinezza dei Eliade, era vissuta dallo studioso in modo impellente. Per questo egli si sottoponeva a pratiche, come la lotta contro il sonno, che dovevano accrescere in lui la padronanza su di sé. La vita dell’uomo e dell’erudito tendevano a coincidere perfettamente, al di là di ogni astratto intellettualismo. E se, dall’insieme dell’opera scientifica, sembra emergere la fondamentale distinzione tra un’antropologia dell’età arcaica e un’antropologia dell’età storica, essa non assume mai il carattere di un invalicabile iato. Infatti, se è vero che: “Una delle fondamentali caratteristiche dell’uomo arcaico è quella di vivere in un mondo la cui realtà non è data dal semplice essere delle cose, ma dalla loro partecipazione a modelli paradigmatici, ad archetipi celesti” (p. 106), d’altro canto l’uomo storico, la cui fase civilizzazionale è stata inaugurata dal giudeo-cristianesimo, ha la possibilità, non solo di esperire la nostalgia della persuasività del sacro, ma di attingere a esso attraverso quell’idea junghiana (il rapporto tra lo psicanalista e lo storico delle religioni è assai complesso, fatto di legami profondi e di distinzioni altrettanto rilevanti), che Neumann chiamò “rituale del destino”. Alla luce di ciò, possiamo sostenere che l’uomo storico non ha un “iniziatore”, se non la storia stessa che si incarica di sottoporlo a prove: “ … a ordalie iniziatiche” (p. 98).  Da ciò è facile comprendere come, per Eliade, all’esperienza del nulla, propria della contemporaneità, non si possa che rispondere con la cosmizzazione dell’uomo, in grado, nuovamente, di renderlo copula mundi. Prova della conseguita integralità umana è la ri-scoperta della gioia di vivere, che testimonia la centralità metessica della condizione umana: pertanto, l’antropologia filosofica eliadiana è tipicamente platonica, non solo nel rinvio all’ontologia archetipale arcaica, ma nel suo momento realmente propositivo, costruito attorno all’interesse esistenziale che coinvolge, in prima persona, lo stesso pensatore. Quanto ora riferito, ci pare confermare ciò che il curatore, De Martino, ha sostenuto in una sua recentissima pubblicazione (Mircea Eliade esoterico, Settimo Sigillo, Roma 2008), e cioè la prossimità, sottaciuta da Eliade stesso e, entro certi limiti, da Culianu, anche a proposito dell’adesione alla Guardia di Ferro, delle posizioni del pensatore romeno con il tradizionalismo integrale di Evola e di Guénon. Anzi, la trattazione eliadiana dei nessi tra iniziazione e storia, da noi poco sopra ricordata, potrebbe suggerire delle indicazioni stimolanti per quanti, negli ambienti tradizionali, ambiscano all’elaborazione di prospettive non più meramente reazionarie, ma a posizioni in grado di condurli a un confronto con la storia, con il presente, mirato a un effettivo superamento della linea del nichilismo. Allo scopo, la lettura di Eliade, ci pare ineludibile: la sua antropologia filosofica è, certamente, un’antropologia della tradizione che, attraverso la descrizione dell’ambiente sacro, interpreta tutte le altre categorie del mondo tradizionale ad esso connesse. Ma, e ciò è determinante, attraverso essa, si superano le tesi storiciste e positiviste, individuando nel mito, nella mentalità arcaica, non un momento dato dell’evoluzione dell’uomo: “ma una struttura dello spirito umano che si manifesta accanto ad altre strutture”(p. 141), pertanto sempre dinamicamente recuperabile. Intuizione condivisa dalla filosofia della storia di uno studioso del secolo scorso, Eric Voegelin. Del resto, che Eliade sia stato attento lettore della filosofia contemporanea, è confermato da Culianu, che tiene a far rilevare l’interesse, solo in qualche caso divergente, per Heidegger. Questi tematizzò l’esser-per-la-morte nel senso di un assuefarsi con essa, di una decisione, in un’ottica “iniziatica”: la familiarità con la morte porta al superamento della morte stessa o, quantomeno, evita fughe mistiche dal mondo, inducendo la decisione per l’agire autentico. Tutto ciò, in un’epoca nella quale la morte e, più in generale, il limite biologico dell’umano, sono sempre più esperiti come fine e termine dell’altro da noi, non in grado di intaccare direttamente, perciò, il nostro personale dasein.
Crediamo di aver presentato solo alcuni degli aspetti rilevanti che possono essere desunti dalla lettura dal libro in questione, o almeno quelli che a noi sono parsi tali. Invitiamo caldamente, così, chi ha avuto la pazienza di seguirci sin qui, a individuare il proprio percorso esegetico attraverso le pagine del libro di Culianu, ricco di informazioni e notizie su uno dei pensatori più significativi del Novecento.
Giovanni Sessa