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martedì 17 gennaio 2012

Un controcanto nietzschiano

Friedrich Nietzsche, Epistolario 1885-1889, Adelphi, Milano 2011, pp. 1360.


Finalmente con questo quinto volume, Epistolario 1885-1889 (pagine 1360, €100) si conclude l’intensa corrispondenza di Nietzsche che l’editore Adelphi pubblica – insieme con gli editori tedesco, francese, inglese e giapponese – concludendo così la gigantesca impresa filologica di presentare testi attendibili dell’opera nietzschiana, dopo le celebri manomissioni della sorella antisemita. E si tratta di una delle più brillanti operazioni filologiche del secolo ad opera di due italiani, Giorgio Colli e Mazzino Montanari, che hanno avuto il permesso, da parte delle autorità della Repubblica Democratica Tedesca, di lavorare per decenni sulle carte conservate a Weimar. Ora, dopo circa mezzo secolo, l’opera viene conclusa da G. Campioni e M. C. Fornari, che hanno curato un indispensabile e straordinario apparato di note, che consente di seguire giorno per giorno la peripezia intellettuale ed esistenziale del filosofo. Le lettere, nell’ottima traduzione di Vivetta Vivarelli sono del periodo 1885-1889, quando ormai la salute del professore Nietzsche, cattedratico di Filologia Classica a Basilea, è definitivamente compromessa e il filosofo vive con un’esigua pensione in Riviera – soprattutto nella sua amata Nizza, ma anche a Genova e nei dintorni, nonché a Sils-Maria nell’Engadina, dove aveva composto in un’esaltante estasi visionaria Così parlò Zarathustra, senza dubbio l’opera più densa e più lirica della sua filosofia e forse di tutta la filosofia occidentale. E proprio in questi giorni è in libreria una nuova traduzione bilingue, assai radicale, del capolavoro nietzschiano: Queste le parole di Zarathustra, a cura di Giulio Sézac (Edizioni Ar, pagine 600, €60.
Le lettere sono un controcanto che s’intreccia mirabilmente con la più  geniale e inattesa meditazione filosofica dell’Ottocento che non ha perso la sua freschezza ingenua e provocatoria, come quando all’amico e collega Franz Overbeck scrive: Mi ha davvero “tranquillizzato” il fatto che un lettore fine e ben disposto come Te continui comunque a nutrire dei dubbi su quello che in sostanza io “voglio”. I timori che mi crescevano dentro andavano invece nella direzione opposta: temevo cioè, questa volta, di essere stato troppo esplicito, e di aver svelato “me stesso” troppo presto. Strana constatazione quella di Nietzsche timoroso di essere, questa volta, capito. E’ che lui combatteva la sua lotta contro la mentalità e la cultura del suo tempo, scegliendo una posizione altera e orgogliosa, per cui di fronte alle perplessità dei lettori o al silenzio, con cui venivano accolte le sue opere, si rifugiava nel sentimento aristocratico che le sue parole sarebbero state comprese solo dopo la sua morte, dopo un secolo almeno. E in realtà non aveva tutti i torti, come pure aveva ragione a essere così radicalmente critico verso la Germania di Bismark e dell’imperialismo prussiano, quando in una lettera alla madre confessa: Se anche dovessi essere un cattivo tedesco – sono pur sempre un “ottimo europeo”. Con i tempi che corrono, sono parole, più che mai attuali, che ci sostengono e che i tedeschi dovrebbero tornare a meditare.
Ma la sorpresa di questo volume di 800 lettere è l’amore di Nietzsche per l’Italia, per la Liguria, ad esempio per Ruta Ligure: un’isola dell’arcipelago greco, con bosco e montagna[…].Ha in sé qualcosa di “greco”, non v’è alcun dubbio: d’altra parte un che di piratesco, imprevisto, nascosto, pericoloso; infine, a una svolta solitaria, un pezzo di pineta “tropicale”, con la quale si è lontani dall’Europa. Nizza è la sua meta, anche meteologica, preferita, come pure affiora il grande amore per Genova, come quella volta che sbaglia treno e invece che a Torino, giunge al capoluogo ligure: rimpiangerà il denaro per il nuovo biglietto, ma è felice di rivedere la sua Genova. Torino – la mia “buona” Torino, scrive alla sorella - diventa poi l’ultima meta, con le sue strade ordinate, con la sua topografia illuministica. E paradossalmente proprio in questa città della mente e della raison si compie l’estremo dramma dell’inabissamento nella follia, testimoniato dalle ultime lettere, firmate “Il Crocefisso”. Una delle ultime è indirizzata al re d’Italia: Al mio amato figlio Umberto. La mia pace sia con Te! Martedì verrò a Roma e voglio vederTi a fianco di Sua Santità il Papa. Il Crocefisso. Una pazzia che ha qualcosa d’intimamente filosofico, come emerge dall’ultima lettera a Jacob Burckhardt –firmata col suo nome – con un incipit folle e grandiosamente disperato: in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato al punto di tralasciare per colpa la creazione del mondo.
Raramente il mestiere di professore è stato così degnamente valutato e per giunta dal filosofo che aveva proclamato che Dio era morto. E tutto ciò avveniva mentre si smarriva nella fredda, ma amatissima abitazione torinese di via Carlo Alberto.            

                                                                                                                                                                Marino Freschi