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sabato 28 gennaio 2012

Marika Guerrini: verso la meta di una dolorosa auto-maieutica

Marika Guerrini, Grigiarancio, Asefi, Milano 2000, 88 pp. 

 

Il luogo? Una stanza. Grigia. Forse un ufficio. Indifferente per definizione alla vita. Vita che è luce. Luce che è colore. Colore che è resurrezione della tenebra. Grigia, invece, la stanza. Grigio, che è vacuità di luce, e dunque materia di tenebra, il Ministero. Immerso, come ogni castello di cifre che si rispetti, nelle brume infette del potere. Logica aristotelica. Ferrea. Brutale. Orologio. Meccanismo. Ingranaggio. Automobile. Ascensore.
All’improvviso, una casa. È la memoria. Sepolta. Sotto la coltre. Una di quelle case del sud, che è biancore, luce d’arancio,  mura di gesso, «polvere di sole». E che sembra fatta apposta perché la fanciulla, imbevuta di India, vi deponga, in preda all’attimo bruciante, le uova dell’innocenza perduta. Lontana, però, nel tempo e nello spazio, quella casa: «Un tavolo, un pianoforte. C’erano fiori sul tavolo. Il pianoforte suonava».
Due poli. Il presente. Crudo. Duro. Buio. Troppo spiegato per essere spiegabile. La memoria. Etere. Amore. Quintessenza. 
Due solitudini, un solo diamante. Troppo tagliente per non rimanerne, alla lunga, feriti.
La nube e la rupe